Livio Oboti

Phaseolus vulgaris
(uno scherzo ermetico in barattolo)

Audaci viticci, strenui d’appiglio.
Instancabili cirri in pertinace rigoglio.
Così crebbe il fagiolo.
Né acri al coltivo, né grandi le serre.
Un piccolo vaso, ben poco di terra.
un pugno da solo.

Piccoli quanto abbondanti,
dei fiori e dei frutti è meglio ne canti.
Dal ricco banchetto al desinar di paese,
roventi marmitte il convivio han servito.
Spirando nei cuori di estatici astanti,
aromi veraci e sapidi afflati.

E il favellar dei ventri sì pingui
che delle terga il brontolar voluttuoso,
ivi convien che non si riporti,
se già di lor, e d’altri l’olezzi
il bel tacer più mai non ci basti.

Certo è del resto, quale che il dente,
il palato non neghi, per nulla vilmente,
che sobrio fu il pasto e buona la forca.
E questo è per meglio, senz’odi né vezzi,
dir che s’è grati, alla fine dei conti.

E con questo il commiato,
il cuore sì stretto,
m’appresto a versare con lieta premura
al canuto di pel,
fagiolo suddetto.

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