Se pur il tempo fugge a passi lunghi,
vanno e vengono nel loro vagar le stelle.
E tu tra le molte che baluginano soltanto,
dolci, ma quiete – tu splendevi
come di luce tua, ché il mondo tutto era in te
e tu nel suo indolente andare.
Immanenza di crude forme, a volte,
e insensata – il mondo.
E molti colgon del cupo antro l’ombra aspra.
Non tu, Aldo caro,
ché la vita pulsava lieta e giocosa,
se pur abissi profondi
sapeva cogliere lo sguardo tuo,
ché mute son della vita le parole.
Le forme tutte osservavi
nel tuo modo pungente e colto e attento,
ché la vita, prima di esser forma
che l’occhio vede,
era dentro di te, viva e vera, racchiusa
in mille forme che cangiano nel tempo.
E gli affetti compongon trame,
dalla cellula ospitale al fungo amoroso,
ché la donna,
compagna del viver tuo, del senso ignoto
cerca di sbrogliare l’intrico spesso,
celato nell’humus
scuro e caldo di radici connesse.
Cara Paola,
strazia il cuor e divelta é ogni frontiera,
ché la mancanza
è pena troppo fonda e cruda,
e il sentire fosco inabissa.
Eppur nelle notti che ancor verranno,
la tua stella – Aldo caro,
conduce insieme a chi con te
i passi hanno segnato.
Scienziato e amico e compagno
di un tempo dato – sei con tutti noi.
Oh, ascose stelle,
cieche parole adombrate al dire nostro,
che sempre cerca ragioni,
e nel petto preme, ora, e schianta.
Accogliete il suo cuore
nel firmamento chiaro, ché le nostre mani
alitano pene e sorrisi.
Sei con noi – amico caro,
e brilla la stella tua e schiara tra mille aliti
di incontri umani, ché nella Terra
il cammino ispido incede.
Tu nel ricordo inevaso,
ché preme il lacrimar,
tu sei qui,
e splendi nei nostri cuori inquieti,
nel ricordo vivo – ancora e ancora.
Roberta Pelachin